"il segno che bisogna dare è il segno della mancanza del significante. E' l'unico segno che non si sopporta perché provoca un'angoscia indicibile. E' tuttavia l'unico modo che possa far accedere alla natura dell'inconscio: alla scienza senza coscienza"



J. Lacan, Seminario VIII, pag. 257.




lunedì 16 maggio 2011


DIBATTITO CATANIA

Prostituzione della parola
Cristiana Santini

Due temi riempiono le pagine dei giornali negli ultimi tempi: morte e prostituzione. C’è da chiedersi se dipenda da un aumento delle due o da un interesse particolare verso tali argomenti. La cosa non cambia.
Nel tempo della globalizzazione, trasformata in omogeneizzazione, tutto sembra essere solo oggetto di mercato. Oggetto che si può vendere, che si può acquistare. La parola non è immune a questo destino. Venduta. Prostituita.
La situazione Italiana rivela, meglio di altre, questa tendenza, propria di tempi segnati dalla logica consumistica: la prostituzione. Appare ovvio, da un punto di vista psicoanalitico, che ove la parola non costituisce più un bene prezioso, tale per cui “dare la parola” sia indice di impegno e garanzia della implicazione del soggetto nei suoi detti, il soggetto stesso si perde. Non trova più un ancoraggio nel simbolico, per costituirsi parte civile nel processo istituito contro la sua particolarità. Diviene oggetto e, in quanto tale, merce di scambio.
Fa riflettere, e non è un caso, che i risultati di una ricerca sulla quantità di avvocati in Italia ne rivelino un numero tale che, nel solo circondario di Roma, se ne trovano tanti quanti in tutta la Francia. Anche nel caso della più semplice incomprensione c’è il ricorso alla legge. La sensazione diffusa è che non ci sia più possibilità d’intesa con l’altro. Una sorta di “paranoicizzazione” dei rapporti, che induce a fare appello al terzo perché riduca l’immaginario che dilaga ove il simbolico non tiene più. Ma anche il ricorso alla legge non tiene, poiché è fatto non in nome di una idealizzazione della giustizia, al contrario con l’obbiettivo di asservirla alle proprie ragioni e utilità, eliminando la sua funzione di limite al plsusgodere di ciascuno. La legge perde la sua dimensione simbolica, solo parole che si possono girare e rigirare come si preferisce, alla maniera dell’azzeccagarbugli manzoniano, tutto sta a sfruttare la loro innata ambiguità. Coloro che colgono la gravità della situazione fanno appello alla costituzione, alla patria, alla storia, nel tentativo di reintrodurre del simbolico che restituisca consistenza alle parole.
Gli ultimi avvenimenti della politica italiana danno la misura dello sgretolamento del simbolico. Le singole storie svelano padri che, anziché incarnare la funzione di limite al godimento, facendosi sembianti di un ordine, di una legge protettiva rispetto al reale della pulsione, autorizzano al godimento fuori-legge, che anzi si fa legge.
L’uso della parola nei mezzi di comunicazione subisce il massimo sfruttamento. Ciascuno parla, scrive, senza vergogna, senza pudore, come se non avesse nulla da perdere, nulla a che fare con ciò che dice o di cui lascia traccia su di un foglio. Parole usate per incantare, addormentare, confondere, insultare, in una guerra apparentemente senza morti, perché la parola è stata disinnescata e non “uccide” più, come si diceva un tempo, perché non rappresenta alcuno presso un qualche ordine simbolico condiviso. Purtroppo se non ci sono vittime non è perché tutti sono salvi, ma perché tutti sono già morti. Dove non si tiene conto del reale della castrazione, non c’è desiderio, quindi non c’è soggetto, non c’è vita, solo corpi illusi di vivere perché impegnati a consumare.

Paola Turroni, poetessa, per la quale la parola è una cosa molto seria, scrive nel suo Il mondo è vedovo:

“Guardati nudo, mostrati orgoglioso, le tue ferite sono
La loro vergogna, mostra il vuoto di quello che hanno preso.
Questi corpi spellati si seccano, come arringhe, come funghi.
Corpi stesi secchi, messi alla prova
Destinati alla terra.

Tieni la paura della morte-tu che la provi come cicuta
Una goccia per volta. La morte è tenere l’attenzione.
Tieni la paura, fai sosta prima del valico
La morte è il limite che serve a bilanciare.
Sono i morti, il numero dei morti, che fa la differenza
-il loro prestigio.”

La morte serve a bilanciare. Le ridondanti notizie sulle morti, sui morti che ovunque coprono la terra, servono a bilanciare? Dove la parola è disinnescata, dove il simbolico frana, dove non c’è limite al godimento, il reale imperversa, graffia, ritorna. Cosa più della morte lo rappresenta.
E la psicoanalisi? La psicoanalisi rischia di essere travolta dalla prostituzione della parola se anch’essa si perde nella sua dimensione di senso e non ne coglie la funzione di segno, se affoga nell’enunciato e non punta il dito sull’enunciazione. Il soggetto è un vuoto, che le parole non riescono a prendere né a spiegare, ma del cui passaggio possono costituire la traccia, affinché egli non si riduca solo a un corpo che si “secca come arringa”.
Chi ha conosciuto Jacques Lacan non ha scuse. Egli non lascia dubbi su questo punto. Pur nella difficoltà della lettura, i suoi testi offrono strumenti per fare diagnosi e cura del male che ha reso mute le parole.
La medicina cerca di tenere in vita corpi che sono sempre più vuoti. La psicologia e un certo modo d’intendere la psicoanalisi cerca di curare quei vuoti riempendoli di parole, di spiegazioni, di senso. Una progressione infinita, che conduce all’implosione, creando voragini o deserti. La psicoanalisi del reale, quella che indica Lacan, è un artiglio che ferisce le pareti viscide di quel vuoto, non lo riempie, lo arpiona in qualche sua parte, ciascuno la sua, perché da quell’aggancio si possa fare qualcosa di singolare della propria esistenza. L’uso della parola in questa logica è segnato dalla responsabilità di chi la pronuncia, da una posizione etica rispetto alla propria posizione, rispetto all’atto di dire, alla propria condizione di essere-parlante, di essere in quanto parlante e non viceversa.
La testimonianza di chi abbia fissato il suo arpione, nel proprio lavoro di analista o occupando posti diversi in cui la psicoanalisi trova un suo utilizzo, può offrire un’occasione: un orizzonte alternativo all’illusione mortifera di una vita senza perdite, senza limiti, senza ferite, piena fino all’orlo, che affoga il desiderio e quindi il soggetto. Ma occorre “guardarsi nudi , mostrarsi orgogliosi” perché “le tue ferite sono la loro vergogna”, occorre “tenersi la paura della morte”, non negare il reale della castrazione. Occorre aver fatto un’analisi ed essere rimasti analizzanti di fronte al proprio inconscio.

lunedì 2 maggio 2011

Amore e desiderio al femminile


Conferenza gratuita
della Dott.ssa Marie-Hélène Brousse
Psicoanalista, membro dell'Ecole de la Cause Freudienne
e dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi

Sala del Consiglio Comunale
Piazza XXIV Maggio, 1
Ancona
Sabato 21 MAGGIO 2011
Inizio Conferenza Ore 16.30


Presentata dall'
ISTITUTO FREUDIANO PER LA CLINICA LA TERAPIA E LA SCIENZA
ANTENNA DI ANCONA

con la
SCUOLA LACANIANA DI PSICOANALISI DEL CAMPO FREUDIANO
Segreteria di Ancona

Patrocinio del
Comune di Ancona

e dell'
Ordine degli Psicologi delle Marche

Per informazioni
338 3535742